18.7.10

Mi restano solo cuori di stoffa.

Non vedo mia madre da dieci anni, a tenerci unite biglietti di auguri scritti su carta riciclata e sigillati con un cuore di stoffa. Ho un ricordo appannato del suo viso, delle sue mani, della sua voce. La mia memoria blocca immagini e le manda in sequenza come una carellata di foto che bloccano il passato e lo riciclano all'infinito. Non so come sia oggi. Per me è rimasta la donna di dieci anni fa. La donna che urlando in faccia a mio padre ha scaraventato a terra chili di rabbia che si è scheggiata come vetro. La donna che mi ha sussurrato con la voce spezzata "perdonami" e senza aspettare una risposta è uscita dalla porta lasciandomi in una Parigi di ghiaccio.

Chiudo gli occhi e mi libero da lei anche se vorrei piangere.

"Io devo prendere un treno. Non riesco a stare nelle stazioni per troppo tempo. Scusa"

Alessandro mi guarda e sorridendo perplesso mi ricorda che il mio treno passerà solo tra due ore.

"Ne prendo un altro. Il primo che c'è. Non avevo una meta precisa. Dovevo solo andarmene"

Per la stazione rimbomba la voce registrata che informa che tra dieci minuti arriverà un treno sul binario 3. "Allontanarsi dalla linea gialla".

Sono già sul binario tre.
"Io prendo questo, vado a fare il biglietto"
"Vengo con te"
E come colla sento la saliva attaccarsi alla gola.
Riesco solo a fare uscire un "ok"


Il treno è quasi deserto, ci sediamo.
Lui inzia a parlare, e riesco solo a guardargli le mani.
Ha delle belle mani e mi piace il suo modo di muoverle, sembra che disegni nell'aria.

"Scusa devo andare in bagno, torno subito" mi alzo e mi dirigo in coda al treno.

Ogni scompartimento racchiude storie diverse, persone che scambiano parole, che leggono, dormono, aspettano.
Ci sono vite diverse unite per ore.

La porta del bagno è chiusa.

Mi appoggio al corridoi e aspetto. Non posso fare a meno di spiare dentro lo scompartimento più vicino.
C'è un ragazzo con i capelli biondi che continua a scrivere messaggi sul cellullare.
Un uomo sulla cinquantina intento a sfogliare fogli e scrivere a lato della pagina numeri e numeri.
E una ragazza chiusa nel suo silenzio, un silenzio cosi pesante che lo posso percepire al di la del vetro. E' come chiusa in una bolla d'aria. Fissa il vuoto e tiene tra le mani qualcosa.
Non riesco a toglierle gli occhi di dosso come se lei mi implorasse di guardarla, di entrare dentro di lei e liberarla da quel silenzio che la sta risucchiando.
Si volta e i nostri occhi si incastonano gli uni negli altri come pietre. Il suo dolore mi entra nello stomaco e lo trafora. Entrambe gli chiudiamo ed io, nel nero delle palpebre, riesco solo a vedere mia madre che confeziona l'ennesimo cuore di stoffa.
Nero questa volta.

11.7.10

Con attenzione


- Hai l’ora? mi chiede

- No,  mi dispiace. Gli orologi mi danno fastidio, è da quando sono bambino che non ne porto uno.

- Guarda sul cellulare!

- Non vado molto d’accordo nemmeno con loro però se vuoi te lo dico. Sono le 11.20.

- Come fai a saperlo scusa?

- Se non ti fidi controlla, chiedi, chiedi pure a quella signora.

- Signora scusi sa mica dirmi che ore sono?

- Certo signorina, le 11.20!

- Mi dici come lo sapevi?

- Guarda in alto, le dico.

- Non dirmi che c’è l’orologio della stazione e non l’ho visto?! Che figuraccia!

Mentre arrossisce, le prendo il viso e quasi con violenza e le faccio guardare il cielo.
Guarda il sole, lo vedi? A mezzogiorno è perfettamente a metà del cielo, in cima.
Questa mattina era li ( ed indico con il braccio disteso l’est che si perde dietro i palazzi) e questa sera sarà la ( indicando l’ovest).  Con un po’ di abitudine, riesci a dividere questo arco in maniera piuttosto precisa. Come vedi l’orologio non mi serve. Se sei nervosa e te ne vuoi andare puoi farlo, non ti ho obbligata. Speravo di farti qualcosa di gradito. Speravo potesse piacerti passare qualche ora con me e invece non vedi l’ora di andartene. Non vedi il sole neanche se te lo indico e pensi a te, pensi di aver fatto una figuraccia. Sei troppo nervosa. Non ti accorgi di quello che fai di come vivi. Forse non ti accorgi neanche che vivi. Non so neanche perché mi sono messo in testa di chiederti di farti compagnia. 


E comunque un po’ più in basso del sole a destra… effettivamente c’è l’orologio della stazione…