23.11.10

io so guidare

Io so guidare.
E' una delle cose che non ho mai raccontato pur avendone la possibilità. Forse perchè è irrilevante. Se fossi un pilota di Formula Uno ,però ,non sarebbe così irrilevante, no?
Io so guidare. Ma proprio bene; del tipo che se anche mi azzardo a superare di un pò i limiti di velocità, sono sempre pronta a frenate calcolate, e riparatorie.
So guidare con la pioggia, anche quando mi è dentro il cuore; so guidare con il ghiaccio e la neve, senza farmela troppo addosso. So guidare con qualcuno a farmi compagnia, o con la mia solitudine a farmi compagnia. So guidare da ubriaca, da isterica, e da semplicemente me stessa.
Io so guidare.
E' la prima cosa che mi è venuta in mente quando ho capito che almeno una si è salvata.
Io so guidare.
E adesso lo capirà anche lui...

12.10.10

Cambio rotta.

Non riuscivo a distogliere gli occhi da quel riflesso appena visibile dei suoi occhi contro il finestrino. Lei non si voltava ma sentivo che mi stava guardando di nascosto mentre con insistenza affondava le unghie nell'oggetto che teneva in mano.
Alessandro uscì dallo scompartimento "tutto bene?" mi disse.
"Si, si. Mi sa che questo bagno è fuori uso".
Feci un passo per tornare verso di lui quando vidi con la coda dell'occhio un corpo muoversi.
Era lei, quella ragazza dagli occhi di ghiaccio che si voltò rigettandomi lei stessa negli occhi come il primo istante.
Era come se volesse parlare con me ma non riuscisse a far uscire altre parole che un sospiro appena accennato. Riuscii a leggere sulla sua valigia una scritta. La teneva in mezzo alle gambe come se non volesse disperdere in quello piccolo spazio parti di se stessa. Nella parte alta, un pò scolorita, con un pennarello nero c'era scritto Alice.
Alessandro venne verso di me e mi prese la mano.
"Torna di la"
Sentii la sua mano cosi fredda che d'istinto la ritrassi.
Alice fissò Alessandro mentre lui continuava a guardarmi con aria interrogativa. Captai quello sguardo e sentii una fitta al cuore. -devo scendere- pensai, cosi, all'improvviso. Lei, come se mi potesse leggere nel pensiero mosse il capo e mi sorrise. Poi tornò a guardarsi le mani.
"Io devo scendere qui" dissi decisa.
"Ma non siamo ancora arrivati".
"Dove dovevamo arrivare? Io dovevo arrivare qui. Tu non lo so, non ce lo siamo detti, sei tu che mi sei venuto dietro. Io scendo qui c'è mio fratello che mi aspetta" Una scusa decisa così, improvvisa che non riuscivo a ricordare come la mia mente l'avesse formulata.
Alessandro disse solo "ok, hai ragione, ma mi sarebbe piaciuto proseguire il viaggio ancora un pò"
"Un'altra volta se il destino vorrà. Ciao e buona giornata!e grazie per la breve compagnia".
Gli sorrisi perchè mi sembrava giusto farlo ma nello stesso tempo pregavo che il treno si fermasse all'improvviso, il corridoio dove ci trovavamo mi sembrava rimpicciolirsi a ogni respiro.
Il signore che continuava a scrivere numeri su numeri nello scompartimento di Alice si alzò e quel posto rimase vuoto.
Il treno si fermò.
"Ciao"
"Ciao" risposi e riguardai per l'ultima volta quella ragazza che mi sorrise. Mentre scendevo mi sentivo libera.
Il treno ripartì e vidi distintamente Alessandro che si sedeva al posto di quell'uomo e iniziava a sorridere ad Alice, con lo stesso sorriso con cui aveva preso me.

2.10.10

i ritorni sempre uguali

Ho sempre sospettato che mi avesse capito. Che capisse le pieghe più scure della mia psicologia spicciola. Stupida non lo è affatto. Non volevo sottovalutarla, semplicemente mi limitavo a darle quello che lei voleva. Non sarebbe stata in grado di reggere di più e a me andava bene così.
Così i miei ritorni sempre uguali, sempre gli stessi. Scanditi come da un orologio con il singhiozzo. Che prima o poi si sarebbe stufata l'ho sempre saputo. E' il quando però che mi teneva sempre sulle spine. Giocare con qualcosa che sai che prima o poi se ne andrà e non fare nulla per evitarlo anche perchè senza sarebbe stato tutto diverso. Oggi ho una strana sensazione eppure mi sembra così uguale alle altre volte. Ogni piano andato a buon fine, ogni mio ritorno da lei hanno gli stessi colori. La signora che esce dalla panetteria, il postino che citofona all'interno cinque e io che dalla stazione a piedi vado verso casa sua a scaricare l'adrenalina. Sempre su di lei, su quel suo corpo perfetto per me.
Ore di sguardi e passione.
-Come è andata? Mi chiede
Tutto come previsto
E l'esca ha abboccato?
Certo e non si è acorta di niente

Tu però sei strana, hai qualcosa che non va. Non glielo dico ma lo penso. Rifacciamo l'amore perchè voglio scoprire cos'hai. Voglio vedere più da vicino la parte di te che non mi hai mai fatto vedere.

1.9.10

svolta

Non scrive più.
Il telefono è anonimo ormai da troppo tempo, dall'ultimo suo treno.
La farfallina sente che si sta trasformando, sta subendo una svolta. Quella finale. Quella definita. Quella mortalmente pericolosa. E si sa. Si sa da millenni. Date un motivo alla bontà di diventare cattiveria, e potrà distruggere il mondo. O una persona sola. O forse entrambi.
Andrea da sempre si è sentita dare della crudele pur sentendosi terribilmente buona, o il contrario, ma mai la sua situazione interna ha corrisposto con quelle esterne. Soprattutto dall'arrivo di Alessandro, il suo Alessandro. Dal giorno in cui i suoi occhi hanno mangiato la sua anima, niente è stato più come prima. Tutta la sua vita è diventata un abito fatto su misura per aderire ai suoi muscoli, alle sue gambe, al suo viso sporco di dopobarba e baci.
Si rende conto che oltre ai suoi bimbi, Andrea non ha mai deciso nulla nella sua vita, nemmeno lui.
Ogni suo pensiero, azione, parola, gesto, tutti sono sempre stati mossi da lui, come un burattino dai fili drogati.
Sente dentro il suo corpo scorrere un brivido, molti lo chiamano cambiamento, lei gli sta dando un nome diverso: vita. La sente scorrere per la prima volta, chiara e limpida come il primo goccio di alcool. Ora tutto le è finalmente chiaro. Niente più inganni, trucchi o catene pur di tenerlo stretto a sè. E' arrivato il tempo di agire.
E' arrivato il momento di leggere la verità, come una rticolo di cronaca che nessuno vorrebbe mai sentire.
E l'unico ascoltatore sordo è lui. Solo lui.
Senza più vittime, senza più guerre.
Ora sa cosa fare.

18.7.10

Mi restano solo cuori di stoffa.

Non vedo mia madre da dieci anni, a tenerci unite biglietti di auguri scritti su carta riciclata e sigillati con un cuore di stoffa. Ho un ricordo appannato del suo viso, delle sue mani, della sua voce. La mia memoria blocca immagini e le manda in sequenza come una carellata di foto che bloccano il passato e lo riciclano all'infinito. Non so come sia oggi. Per me è rimasta la donna di dieci anni fa. La donna che urlando in faccia a mio padre ha scaraventato a terra chili di rabbia che si è scheggiata come vetro. La donna che mi ha sussurrato con la voce spezzata "perdonami" e senza aspettare una risposta è uscita dalla porta lasciandomi in una Parigi di ghiaccio.

Chiudo gli occhi e mi libero da lei anche se vorrei piangere.

"Io devo prendere un treno. Non riesco a stare nelle stazioni per troppo tempo. Scusa"

Alessandro mi guarda e sorridendo perplesso mi ricorda che il mio treno passerà solo tra due ore.

"Ne prendo un altro. Il primo che c'è. Non avevo una meta precisa. Dovevo solo andarmene"

Per la stazione rimbomba la voce registrata che informa che tra dieci minuti arriverà un treno sul binario 3. "Allontanarsi dalla linea gialla".

Sono già sul binario tre.
"Io prendo questo, vado a fare il biglietto"
"Vengo con te"
E come colla sento la saliva attaccarsi alla gola.
Riesco solo a fare uscire un "ok"


Il treno è quasi deserto, ci sediamo.
Lui inzia a parlare, e riesco solo a guardargli le mani.
Ha delle belle mani e mi piace il suo modo di muoverle, sembra che disegni nell'aria.

"Scusa devo andare in bagno, torno subito" mi alzo e mi dirigo in coda al treno.

Ogni scompartimento racchiude storie diverse, persone che scambiano parole, che leggono, dormono, aspettano.
Ci sono vite diverse unite per ore.

La porta del bagno è chiusa.

Mi appoggio al corridoi e aspetto. Non posso fare a meno di spiare dentro lo scompartimento più vicino.
C'è un ragazzo con i capelli biondi che continua a scrivere messaggi sul cellullare.
Un uomo sulla cinquantina intento a sfogliare fogli e scrivere a lato della pagina numeri e numeri.
E una ragazza chiusa nel suo silenzio, un silenzio cosi pesante che lo posso percepire al di la del vetro. E' come chiusa in una bolla d'aria. Fissa il vuoto e tiene tra le mani qualcosa.
Non riesco a toglierle gli occhi di dosso come se lei mi implorasse di guardarla, di entrare dentro di lei e liberarla da quel silenzio che la sta risucchiando.
Si volta e i nostri occhi si incastonano gli uni negli altri come pietre. Il suo dolore mi entra nello stomaco e lo trafora. Entrambe gli chiudiamo ed io, nel nero delle palpebre, riesco solo a vedere mia madre che confeziona l'ennesimo cuore di stoffa.
Nero questa volta.

11.7.10

Con attenzione


- Hai l’ora? mi chiede

- No,  mi dispiace. Gli orologi mi danno fastidio, è da quando sono bambino che non ne porto uno.

- Guarda sul cellulare!

- Non vado molto d’accordo nemmeno con loro però se vuoi te lo dico. Sono le 11.20.

- Come fai a saperlo scusa?

- Se non ti fidi controlla, chiedi, chiedi pure a quella signora.

- Signora scusi sa mica dirmi che ore sono?

- Certo signorina, le 11.20!

- Mi dici come lo sapevi?

- Guarda in alto, le dico.

- Non dirmi che c’è l’orologio della stazione e non l’ho visto?! Che figuraccia!

Mentre arrossisce, le prendo il viso e quasi con violenza e le faccio guardare il cielo.
Guarda il sole, lo vedi? A mezzogiorno è perfettamente a metà del cielo, in cima.
Questa mattina era li ( ed indico con il braccio disteso l’est che si perde dietro i palazzi) e questa sera sarà la ( indicando l’ovest).  Con un po’ di abitudine, riesci a dividere questo arco in maniera piuttosto precisa. Come vedi l’orologio non mi serve. Se sei nervosa e te ne vuoi andare puoi farlo, non ti ho obbligata. Speravo di farti qualcosa di gradito. Speravo potesse piacerti passare qualche ora con me e invece non vedi l’ora di andartene. Non vedi il sole neanche se te lo indico e pensi a te, pensi di aver fatto una figuraccia. Sei troppo nervosa. Non ti accorgi di quello che fai di come vivi. Forse non ti accorgi neanche che vivi. Non so neanche perché mi sono messo in testa di chiederti di farti compagnia. 


E comunque un po’ più in basso del sole a destra… effettivamente c’è l’orologio della stazione…

30.6.10

fino alla fine dei giorni

Treno.Stazione.Scena da film. Città.
Sono suola, vuota, mi sento persa. Se non sono con i miei bimbi, se non ho il compito di guidarli mi sento quasi inutile. Ma ho fatto una promessa, di essere ciò che per il momento non sono, di diventare meno restia ai cambiamenti, più propensa ad allungare le gambe agli ostacoli, e...meno crudele.
Già, perchè, per quanto mi sforzi a non reputarmi tale,agli occhi degli altri (e per altri intendo...tutti) non sono altro che una doppiogiochista, una finta perbenista, un'acqua cheta, con una fragilissima e ben congeniata maschera da fatina dolce. E' quasi un gioco perverso il mio, assecondare la cattiveria altrui, o meglio, la Sua cattiveria; il mio Dio, il mio altare, il mio letto, i miei lividi, la mia passione, la mia ossessione. Lui, e solo lui. Fino alla fine dei giorni. Così mi ha detto. Ed io ci credo.
La scusa della città funziona benissimo, ma infine è soltanto un pretesto per assecondare i suoi piani. Mi ha anche regalato un nuovo telefono cellulare per rimanere sempre in contatto con lui. E ad ogni secondo un fremito, come qundo mi tocca, come quando mi sospira, ogni secondo speso per lui, ad aspettare un suo segnale, finchè, finalmente, arriva : "Kendra, l'insetto è caduto nella trappola del ragno. A breve ti aggiorno". Adoro quando parla di insetti, perchè le altre sono solo quello per lui. Soltanto io sono la sua farfallina.
Soltanto con lui io sono Kendra.

17.6.10

E il mio nome non è mai suonato cosi male.

In questo preciso momento, mentre i suoi occhi continuano a incollarsi ai miei maledico la mia dipendenza dal caffè. Non sopporto le persone come lui, che si siedono al tuo tavolo e predendono di parlare anche quando c'è un silenzio troppo grande da permettersi di romperlo. L'ho odiato dal primo momento che l'ho visto.
" Io sono Alessandro"
" Benedetta ". E il mio nome non è mai suonato cosi male.
Ma la storia si ripeteva.

Ora sono sempre qui, ai lati di quella linea gialla che come un recinto chiude le mie vie di fuga. I suoi occhi fissi nei miei che quasi ho paura di ingoiarli.
Insiste con questa storia dell'alternativa e mi sudano le mani perchè io non voglio più rincorrere alternative.
La mia unica alternativa stamattina era prendere quel maledetto treno.

"Allora vieni? "

Mi irrita profondamente ma nello stesso tempo il pensiero di tornare a casa e appendere al chiodo la mia sconfitta non è l'alternativa migliore.
Questa non so dove mi porterà ma tentar non nuoce.

" Va bene "

Mi sorride ma non riesco a fidarmi di lui.
Ma alla fine come ha detto lui, le nostre vite non si devono unire per forza.
Quindi lascerò che la mia strada per due ore corra parallela alla sua per poi prendere una deviazione nella direzione opposta.

11.6.10

L'alternativa

...
- Scherzi?
- No di solito non scherzo mai, al massimo mento.
- Non credi sia a dir poco sconveniente per te ammettere che sei un bugiardo ad una ragazza che hai appena conosciuto?
- Perchè? Mica dobbiamo rivederci!
- Ma.... ma... guarda questo? Oh ma per chi mi hai presa? Ma... non ci credo... cioè, fammi capire, io e te? Ahahahah ma tu sei strano forte lo sai vero? Te l'hai mai detto nessuno? Cioè vieni qui, attacchi bottone e poi ancora fai passare me per quella che ci sta provando?
- Non ho mica detto che non ci sto provando... ho solo detto che mica dobbiamo rivederci...
- .... e quindi adesso nel tuo manuale da seduttore seriale cosa c'è scritto? Dovremmo prendere e andare in bagno? Chessò scopare e poi ci saluteremo per sempre?
- Non sarebbe male in effetti però non era quello che avevo in mente. Io pensavo che il prossimo treno parte tra due ore. Se avevi un appuntamento l'avrai sicuramente perso, se invece non avevi nulla d'importante da fare tanto meglio. Passa con me questa mattina. Poi basta. Giuro non ci provo davvero.
- Ma tu chi sei??
- Mettiamola così, io sono la tu alternativa. Quando ti ho vista perdere il treno, ho notato la tua espressione distrutta e ho pensato. Diamo una possibilità a quella persona di non sprecare totalmente questa giornata, voglio offrirle un diversivo, un'alternativa appunto!

1.6.10

treni

Treni.
Lunghi, veloci, ritardatari, puzzolenti, ingiusti e indifferenti treni.
Non mi capita quasi mai di prenderli, e forse proprio per questo, ogni volta è una novità, come un bimbo al suo primo giro in giostra. Ritorno piccola, stringendo le mani dei miei piccoli bimbi, agitata ed emozionata ai timbri del controllore, estasiata al repentino cambio di paesaggi oltre il finestrino.
Oggi però sono sola, niente bimbi da controllare, nessun orario da rispettare, soltanto una città vicina da visitare, perchè, come dice sempre mio padre : "sono ormai due anni che vivi in quella città, possibile che tu non abbia idea di cosa ti circonda?". Ha ragione, devo imparare ad essere curiosa, non lo sono quasi mai, maledetta pigrizia.
Adoro osservare e non renderlo palese, e la scena è stupenda, proprio ora, proprio davanti ai miei occhi : un ragazzo, e devo dire anche molto carino, fermo, nella parte opposta alla mia, che mi fissa, o forse mi guarda, o forse mi studia, o forse mi scruta, o forse (non capisco, lo vedo solo con la coda dell'occhio)... e accanto a me una ragazza, dal viso guardingo ed intelligente, che guarda lui, ed io..beh, io guardo lei; è vestita con i colori del sogno, ed è in grado di emanare carisma pur stando ferma, ed il modo che ha di osservarlo poi, sembra volergli dire fiumi di parole seppur regalando soltanto splendidi silenzi.
Se ci fosse un quarto osservatore vedrebbe una scena quasi comica, un triangolo di sguardi, rossori, occhi abbassati, mangiati dal turbinio di treni sulle rotaie.
chissà perchè tutta questa indagine poi....

Benedetta è qualcosa di speciale se solo la si sa cullare.

Vedo la mia immagine riflessa nel treno che parte lasciandomi li, sul confine invalicabile di quella linea gialla. Resto immobile mentre i capelli volano in quel vento artificiale e ritorno bambina.
Ho nove anni, la mia mano è chiusa in quella di mia madre, la sento tremare mentre corriamo lungo un binario che non lasceremo mai. Lo stesso profumo, lo stesso suono, lo stesso cuore che batte in gola e lo stesso vuoto quando tutto si ferma e tace. Sono rimasta a terra anche questa volta ma senza mani da stringere. Cosi che mi prendo le mani e le porto intorno alla vita stringendo forte, come per bloccare le lacrime che salgono dallo stomaco sempre più forti.
"Benedetta non piangere" questo mi disse mia madre quel mattino. Ma io piansi lo stesso, in silenzio, mentre lei continuava a infilare monetine nel telefono della stazione vicino al bar. Ora quel telefono non c'è più, ma continuo a vedere la mia ombra incollata alla parete.
Avevo un vestitino rosa quel giorno e un paio di scarpe nuove che mi facevano sentire grande.
Ricordo tutto di quel giorno. Il giorno che a detta di mia madre avrebbe cambiato la nostra vita, quando invece la gettò nel baratro.
Lei tornò a Roma tre anni dopo mentre io rimasi li, con mio padre, o con quello che restava di lui.
"Questa è mia figlia". "Piacere, Benedetta" queste le parole studiate e cantilenate per dieci anni durante cene di gala e feste importanti. Solo una volta riuscii a pronunciare il mio nome cosi bene da far innamorare. Ma l'amore puro, in quelle vetrine troppo brillanti non poteva esistere davvero. Nell'illusione dell'amore perfetto divenni "l'altra" metà dell'amore. L'amante dei giorni felici, delle notti nascoste, dei silenzi e delle bugie. Per poi scappare dalla stessa ombra che mi ero creata negli anni. Si, Benedetta non è cosi com'è apparsa, Benedetta è qualcosa di speciale se solo la si sa cullare.
Apro gli occhi e ritorno nella confusione di questo destino deciso stamattina ma non più perseguibile.
Vorrei sparire mentre occhi indiscreti si accalcano sul mio corpo cercando di disegnarsi nella mente la mia vita. Abbasso lo sguardo, come se potessi diventare trasparente e perdermi in quel via vai di corpi del lunedi mattina. Un ragazzo, sul binario opposto, continua a fissarmi e vorrei urlargli contro tutta la mia rabbia ma non riesco a pronunciare una sola parola. Mi volto e con i suoi occhi puntati alla schiena mi allontano. Ho bisogno di un caffè.

30.5.10

In stazione

Non mi ricordo in quale il film, uno dei protagonisti era attratto dai luoghi dove si concentrano le persone: stazioni, aeroporti, sale d'attesa. A me piacciono molto i film perchè alla fine riesci sempre a tirarne fuori qualcosa di buono. Cioè dico, se io adesso iniziassi a parlare di quanto mi piaccia stare in stazione anche a far niente, la gente mi prenderebbe per matto. Se però io, come premessa a tutto, dico che ho sentito questa cosa in un film bè... cambia la prospettiva. Alla fine non è che sono matto, lo dicono anche in un film e quindi sono giustificato. I film sono spesso la risposta giusta. Non tutti i film però. Non bisogna alzare troppo il tiro o si perde di credibilità. Bisogna stare nella media, ora non dico Vanzina... però diciamo che le commedie americane da "Harry ti presento Sally"in poi, con alti e bassi ovviamente, sono sempre un buono spunto. Due o tre citazioni le cavi fuori ogni volta. Finiscono bene, le musiche sono accettabili. Non ti impegnano troppo e un po' ti insegnano a vivere. Il massimo cui ti puoi spingere è Woody Allen... ma proprio proprio se vuoi fare colpo con una ragazza che sembra un po' sofisticata e allora tu gliela piazzi li una battuta di Woody Allen, ovviamente citando la fonte che altrimenti non serve a nulla. A volte funziona. A me Woody Allen piace anche però non lo si può usare così a sproposito perchè sembri poi uno snob e non mi va. Mentre invece se io dico che in qualche film il protagonista andava sempre in stazione bè non faccio la figura dello snob e mi paro anche un po' il culo.
Alla fine però aveva ragione. Cioè io non è che passo il tempo nelle sale d'attesa così per sport. Figurarsi sono in stazione tutti i giorni per andare a lavoro, quando non mi devo muovere non ci passo neanche da vicino. Però già che ci sono, cioè dico la mattina, già che sono li, butto lo sguardo. A prima vista si riconoscono subito i pendolari dai viaggiatori "della domenica". Il pendolare ha una certa consapevolezza, una certa rassegnazione, ha imparato quasi a goderselo quel quadratino di schifo che gli danno e se lo gode come i suoi 15 minuti di gloria mattutina. Sguazza in quel piccolo mondo grigio fatto di centimetri e freddo del quale si sente padrone. Lui e tutti gli altri pendolari come lui. Tutti sovrani di un posto che 15 minuti dopo ha già un aspetto diverso e che non conosci. Conosci solo i tuoi di 15 minuti non quelli prima, non quelli dopo. Qualche volta mi piacerebbe fermarmi a vede come sono i pendolari che prendono il mio posto nel treno dopo. Ma non me lo posso mai permettere. Così in un luogo ovviamente caotico e disorganizzato il pendolare sa dove muoversi. Anche bendato manterrebbe una calma zen, niente più lo sconvolge. Ritardi? Soppressioni? Cataclismi? Tutto sotto controllo, tutto come sempre. Anche quando vedi uno in ritardo che sta correndo per prendere il treno lo vedi se è un abitudinario o uno che lo sta facendo per la prima volta, che non è abituato. Ad esempio proprio adesso davanti agli occhi ne ho un esempio. Quello in giacca e cravatta che sta per entrare dalla porta correndo, tutte le mattina arriva puntualmente in ritardo, corre perchè altrimenti non riuscirebbe a prendere il treno. E' un ritardatario cronico ma seriale. Dentro di sè è tranquillissimo per lui è qualcosa di naturale. Quell'altra ragazza invece che sta correndo dietro di lui si vede che non è tranquilla. Corre male, si vede. Si guarda intorno, ma dentro di sè si sente morire. Si sente in un mondo non suo, lo si vede. E infatti quella ragazza doveva salire sul treno che parte adesso e che lei perderà...

25.5.10

Mi chiamo Andrea, ho 25 anni.
Lo so, il nome è tutto un dire.
Fin da piccola ho sempre avuto problemi, perchè nella piccola e bigotta cittadina dove vivo, per tutti Andrea è sempre stato un nome da uomo : Sant'Andrea,il fratello maggiore di San Pietro.
Ma io sono nata femmina, stupendo qualsiasi pronostico, stupendo i miei genitori, che pur non volendo sapere in anticipo il mio sesso, erano convinti che avrebbero avuto un pargolo, stupendo i miei compagnucci di scuola convinti che come loro avessi il "pisellino", stupendo le mie compagne di Liceo, convinte che fossi la prima lesbica con cui si confidavano. Ed il tutto per un nome sbagliato.
Poi crescendo ho imparato a tirar fuori la mia vera essenza senza però sbatterla in faccia a nessuno, e da lì sono diventata per tutti Kendra, e per chi aveva il coraggio di addentrarsi nel fondo dei miei pensieri,ero sempre Andrea, ma stavolta con le gambe affusolate, i capelli lunghi,ed il viso truccato di sole.
Da sempre adoro i bimbi, ma non avendo il coraggio e la fermezza di tirarne su uno mio, ho sempre preferito quelli degli altri, e così, grazie alla mia innata pazzia,e a quella di altre due mie care ex colleghe universitarie, sono riuscita ad aprire un asilo nido tutto mio. (merito delle banche e della mia dolcezza innata, quella di Kendra, non quella di Andrea)
Scrivo,anche, ma lo faccio oltre che per me, soprattutto per i miei pargoli, per regalare a loro una biblioteca ricca di sogni, che purtroppo in questo mondo mancano sempre, e canto, a tempo perso, sotto la doccia, nel parco al buio da sola,e a chi ha voglia di ascoltarmi...

22.5.10

Benedetta.

Mi chiamo Benedetta, bevo troppi caffè e sono fastidiosamente lunatica.
Mi chiamo Benedetta, ho 25 anni, un pesciolino rosso di nome Rousseau, una voglia a forma di farfalla stilizzata sul basso ventre e cinque messaggi non letti sulla segreteria telefonica.
Mi chiamo Benedetta, e da 12 ore e trenta minuti sono senza lavoro, senza pianista, senza week-end a Parigi, senza amore da ricevere.
Ma stamattina non ha più importanza come ieri notte.
Perchè? Perchè ho un treno da prendere, e quando prendi un treno, cosi, all'improvviso, solo perchè senti che devi farlo vuol dire che accadrà qualcosa di speciale.
I treni hanno un potere strano, oltre a quello di essere dei gran ritardatari, sanno consolare.

Si, è cosi. Sanno cullare il tuo stato emotivo e conservarlo per tutto il tragitto.
Sono terapeutici se ci credi, anche solo un pò.

Mancano quarantacinque minuti e non sarò più qui.
Mi illudo che tutto quello che sento sullo stomaco domani non ci sarà più, sarà come evaporato dalla mia pelle. Ma in fondo so che non è cosi, che questo mio ottimismo evaporerà prima.
Non sono una persona ottimista, per niente. Diciamo che mi sono imposta di diventarlo.
Ho venticinque anni e da due anni sono una persona ottimista. O meglio, mi piace rinchiudermi per un pò nell'illusione dell'ottimismo e della perfezione.
Ieri notte questa bolla di sapone è scoppiata come hanno fatto le mie parole, le sue parole, la ruota della sua macchina, il nostro amore.

Ma per la prima volta non sento la necessità di piangere, sento solo quella di prendere quel treno, e costruire una nuova bolla.
Preferibilmente di plastica questa volta.

20.5.10

Presentazioni

Mi chiamo Alessandro, ho 26 anni. Vivo in provincia perchè la vità in provincia è decisamente meno stressante di quella in città. Poi tanto per arrivare in città basta un'ora di mezzi pubblici. Un'ora nella quale poco per volta vieni introdotto allo stress della città. Non avviene drasticamente è un processo che si compie magicamente. In un'ora sei tranquillamente catapultato nello stress della megalopoli. Prima non lo eri adesso lo sei. Prendi la tua macchinetta e te ne vai in stazione. Sei ancora calmo o forse solo mezzo addormentato. Trovi parcheggio dopo un paio di giri, non troppi. Aspetti il treno e delle volte riesci anche a trovare un posto dove sederti.... delle volte. Altre volte no e allora sta in piedi. Poi a volte fa troppo caldo e altre troppo freddo. Il giusto mai. E allora inizi ad innervosirti anche perchè poco per volta gli occhi iniziano ad aprirsi. Sono le 7.30 di mattina e la gente sul treno fa decisamente troppo rumore. Fa troppo freddo/caldo. Sei troppo scomodo... insomma tutto è abbastanza eccessivo. Arrivi a destinazione che già ti girano e la tua giornata è appena cominciata. Benvenuto!
Ho un lavoro davvero particolare. Io di lavoro faccio il bugiardo. Cioè a tempo perso faccio il bugiardo. Di solito riempio tabelle di Excel tutto il giorno. Spesso però mi capita di fare anche il bugiardo. Fare in bugiardo è qualcosa di simile al prestanome però è legale. Mi capita di dovermi presentare ad appuntamenti, fare colloqui, inviare mail o fare telefonate. Insomma un repertorio piuttosto ricco di situazioni nella quali mi presento e devo mentire. Spudoratamente e follemente. Urlare, incazzarmi... insomma devo convincere il pubblico ce ho dell'altra parte. Alla fine è quasi nobile come lavoro. Diciamo che è un po' come fare l'attore. Il problema è che spesso devo fare questo per parare il culo ad aziende che altrimenti rischierebbero denunce milionarie che a pensarci bene si meriterebbero tutte. E invece no, arrivo io. Io che sono l'imprevisto, quello che non ti aspetti. La variabile non calcolata che cambia le carte in tavola e risolve tutto.  Il più delle volte.
Tutto questo per 450 € al mese. Un vero affare. Il mio lavoro un po' mi piace, mi distrae dalle tabelle di Excel che odio e poi mi permette di conoscere sempre persone nuove. Certo conoscere è una parola un po' grossa dato che per lo più le persone che incontro poi in un modo o nell'altro tendono a maledirmi, augurarsi che io muoia nei modi più atroci e così via. Certo sono rapporti brevi ma sicuramente intensi.