23.11.10

io so guidare

Io so guidare.
E' una delle cose che non ho mai raccontato pur avendone la possibilità. Forse perchè è irrilevante. Se fossi un pilota di Formula Uno ,però ,non sarebbe così irrilevante, no?
Io so guidare. Ma proprio bene; del tipo che se anche mi azzardo a superare di un pò i limiti di velocità, sono sempre pronta a frenate calcolate, e riparatorie.
So guidare con la pioggia, anche quando mi è dentro il cuore; so guidare con il ghiaccio e la neve, senza farmela troppo addosso. So guidare con qualcuno a farmi compagnia, o con la mia solitudine a farmi compagnia. So guidare da ubriaca, da isterica, e da semplicemente me stessa.
Io so guidare.
E' la prima cosa che mi è venuta in mente quando ho capito che almeno una si è salvata.
Io so guidare.
E adesso lo capirà anche lui...

12.10.10

Cambio rotta.

Non riuscivo a distogliere gli occhi da quel riflesso appena visibile dei suoi occhi contro il finestrino. Lei non si voltava ma sentivo che mi stava guardando di nascosto mentre con insistenza affondava le unghie nell'oggetto che teneva in mano.
Alessandro uscì dallo scompartimento "tutto bene?" mi disse.
"Si, si. Mi sa che questo bagno è fuori uso".
Feci un passo per tornare verso di lui quando vidi con la coda dell'occhio un corpo muoversi.
Era lei, quella ragazza dagli occhi di ghiaccio che si voltò rigettandomi lei stessa negli occhi come il primo istante.
Era come se volesse parlare con me ma non riuscisse a far uscire altre parole che un sospiro appena accennato. Riuscii a leggere sulla sua valigia una scritta. La teneva in mezzo alle gambe come se non volesse disperdere in quello piccolo spazio parti di se stessa. Nella parte alta, un pò scolorita, con un pennarello nero c'era scritto Alice.
Alessandro venne verso di me e mi prese la mano.
"Torna di la"
Sentii la sua mano cosi fredda che d'istinto la ritrassi.
Alice fissò Alessandro mentre lui continuava a guardarmi con aria interrogativa. Captai quello sguardo e sentii una fitta al cuore. -devo scendere- pensai, cosi, all'improvviso. Lei, come se mi potesse leggere nel pensiero mosse il capo e mi sorrise. Poi tornò a guardarsi le mani.
"Io devo scendere qui" dissi decisa.
"Ma non siamo ancora arrivati".
"Dove dovevamo arrivare? Io dovevo arrivare qui. Tu non lo so, non ce lo siamo detti, sei tu che mi sei venuto dietro. Io scendo qui c'è mio fratello che mi aspetta" Una scusa decisa così, improvvisa che non riuscivo a ricordare come la mia mente l'avesse formulata.
Alessandro disse solo "ok, hai ragione, ma mi sarebbe piaciuto proseguire il viaggio ancora un pò"
"Un'altra volta se il destino vorrà. Ciao e buona giornata!e grazie per la breve compagnia".
Gli sorrisi perchè mi sembrava giusto farlo ma nello stesso tempo pregavo che il treno si fermasse all'improvviso, il corridoio dove ci trovavamo mi sembrava rimpicciolirsi a ogni respiro.
Il signore che continuava a scrivere numeri su numeri nello scompartimento di Alice si alzò e quel posto rimase vuoto.
Il treno si fermò.
"Ciao"
"Ciao" risposi e riguardai per l'ultima volta quella ragazza che mi sorrise. Mentre scendevo mi sentivo libera.
Il treno ripartì e vidi distintamente Alessandro che si sedeva al posto di quell'uomo e iniziava a sorridere ad Alice, con lo stesso sorriso con cui aveva preso me.

2.10.10

i ritorni sempre uguali

Ho sempre sospettato che mi avesse capito. Che capisse le pieghe più scure della mia psicologia spicciola. Stupida non lo è affatto. Non volevo sottovalutarla, semplicemente mi limitavo a darle quello che lei voleva. Non sarebbe stata in grado di reggere di più e a me andava bene così.
Così i miei ritorni sempre uguali, sempre gli stessi. Scanditi come da un orologio con il singhiozzo. Che prima o poi si sarebbe stufata l'ho sempre saputo. E' il quando però che mi teneva sempre sulle spine. Giocare con qualcosa che sai che prima o poi se ne andrà e non fare nulla per evitarlo anche perchè senza sarebbe stato tutto diverso. Oggi ho una strana sensazione eppure mi sembra così uguale alle altre volte. Ogni piano andato a buon fine, ogni mio ritorno da lei hanno gli stessi colori. La signora che esce dalla panetteria, il postino che citofona all'interno cinque e io che dalla stazione a piedi vado verso casa sua a scaricare l'adrenalina. Sempre su di lei, su quel suo corpo perfetto per me.
Ore di sguardi e passione.
-Come è andata? Mi chiede
Tutto come previsto
E l'esca ha abboccato?
Certo e non si è acorta di niente

Tu però sei strana, hai qualcosa che non va. Non glielo dico ma lo penso. Rifacciamo l'amore perchè voglio scoprire cos'hai. Voglio vedere più da vicino la parte di te che non mi hai mai fatto vedere.

1.9.10

svolta

Non scrive più.
Il telefono è anonimo ormai da troppo tempo, dall'ultimo suo treno.
La farfallina sente che si sta trasformando, sta subendo una svolta. Quella finale. Quella definita. Quella mortalmente pericolosa. E si sa. Si sa da millenni. Date un motivo alla bontà di diventare cattiveria, e potrà distruggere il mondo. O una persona sola. O forse entrambi.
Andrea da sempre si è sentita dare della crudele pur sentendosi terribilmente buona, o il contrario, ma mai la sua situazione interna ha corrisposto con quelle esterne. Soprattutto dall'arrivo di Alessandro, il suo Alessandro. Dal giorno in cui i suoi occhi hanno mangiato la sua anima, niente è stato più come prima. Tutta la sua vita è diventata un abito fatto su misura per aderire ai suoi muscoli, alle sue gambe, al suo viso sporco di dopobarba e baci.
Si rende conto che oltre ai suoi bimbi, Andrea non ha mai deciso nulla nella sua vita, nemmeno lui.
Ogni suo pensiero, azione, parola, gesto, tutti sono sempre stati mossi da lui, come un burattino dai fili drogati.
Sente dentro il suo corpo scorrere un brivido, molti lo chiamano cambiamento, lei gli sta dando un nome diverso: vita. La sente scorrere per la prima volta, chiara e limpida come il primo goccio di alcool. Ora tutto le è finalmente chiaro. Niente più inganni, trucchi o catene pur di tenerlo stretto a sè. E' arrivato il tempo di agire.
E' arrivato il momento di leggere la verità, come una rticolo di cronaca che nessuno vorrebbe mai sentire.
E l'unico ascoltatore sordo è lui. Solo lui.
Senza più vittime, senza più guerre.
Ora sa cosa fare.

18.7.10

Mi restano solo cuori di stoffa.

Non vedo mia madre da dieci anni, a tenerci unite biglietti di auguri scritti su carta riciclata e sigillati con un cuore di stoffa. Ho un ricordo appannato del suo viso, delle sue mani, della sua voce. La mia memoria blocca immagini e le manda in sequenza come una carellata di foto che bloccano il passato e lo riciclano all'infinito. Non so come sia oggi. Per me è rimasta la donna di dieci anni fa. La donna che urlando in faccia a mio padre ha scaraventato a terra chili di rabbia che si è scheggiata come vetro. La donna che mi ha sussurrato con la voce spezzata "perdonami" e senza aspettare una risposta è uscita dalla porta lasciandomi in una Parigi di ghiaccio.

Chiudo gli occhi e mi libero da lei anche se vorrei piangere.

"Io devo prendere un treno. Non riesco a stare nelle stazioni per troppo tempo. Scusa"

Alessandro mi guarda e sorridendo perplesso mi ricorda che il mio treno passerà solo tra due ore.

"Ne prendo un altro. Il primo che c'è. Non avevo una meta precisa. Dovevo solo andarmene"

Per la stazione rimbomba la voce registrata che informa che tra dieci minuti arriverà un treno sul binario 3. "Allontanarsi dalla linea gialla".

Sono già sul binario tre.
"Io prendo questo, vado a fare il biglietto"
"Vengo con te"
E come colla sento la saliva attaccarsi alla gola.
Riesco solo a fare uscire un "ok"


Il treno è quasi deserto, ci sediamo.
Lui inzia a parlare, e riesco solo a guardargli le mani.
Ha delle belle mani e mi piace il suo modo di muoverle, sembra che disegni nell'aria.

"Scusa devo andare in bagno, torno subito" mi alzo e mi dirigo in coda al treno.

Ogni scompartimento racchiude storie diverse, persone che scambiano parole, che leggono, dormono, aspettano.
Ci sono vite diverse unite per ore.

La porta del bagno è chiusa.

Mi appoggio al corridoi e aspetto. Non posso fare a meno di spiare dentro lo scompartimento più vicino.
C'è un ragazzo con i capelli biondi che continua a scrivere messaggi sul cellullare.
Un uomo sulla cinquantina intento a sfogliare fogli e scrivere a lato della pagina numeri e numeri.
E una ragazza chiusa nel suo silenzio, un silenzio cosi pesante che lo posso percepire al di la del vetro. E' come chiusa in una bolla d'aria. Fissa il vuoto e tiene tra le mani qualcosa.
Non riesco a toglierle gli occhi di dosso come se lei mi implorasse di guardarla, di entrare dentro di lei e liberarla da quel silenzio che la sta risucchiando.
Si volta e i nostri occhi si incastonano gli uni negli altri come pietre. Il suo dolore mi entra nello stomaco e lo trafora. Entrambe gli chiudiamo ed io, nel nero delle palpebre, riesco solo a vedere mia madre che confeziona l'ennesimo cuore di stoffa.
Nero questa volta.

11.7.10

Con attenzione


- Hai l’ora? mi chiede

- No,  mi dispiace. Gli orologi mi danno fastidio, è da quando sono bambino che non ne porto uno.

- Guarda sul cellulare!

- Non vado molto d’accordo nemmeno con loro però se vuoi te lo dico. Sono le 11.20.

- Come fai a saperlo scusa?

- Se non ti fidi controlla, chiedi, chiedi pure a quella signora.

- Signora scusi sa mica dirmi che ore sono?

- Certo signorina, le 11.20!

- Mi dici come lo sapevi?

- Guarda in alto, le dico.

- Non dirmi che c’è l’orologio della stazione e non l’ho visto?! Che figuraccia!

Mentre arrossisce, le prendo il viso e quasi con violenza e le faccio guardare il cielo.
Guarda il sole, lo vedi? A mezzogiorno è perfettamente a metà del cielo, in cima.
Questa mattina era li ( ed indico con il braccio disteso l’est che si perde dietro i palazzi) e questa sera sarà la ( indicando l’ovest).  Con un po’ di abitudine, riesci a dividere questo arco in maniera piuttosto precisa. Come vedi l’orologio non mi serve. Se sei nervosa e te ne vuoi andare puoi farlo, non ti ho obbligata. Speravo di farti qualcosa di gradito. Speravo potesse piacerti passare qualche ora con me e invece non vedi l’ora di andartene. Non vedi il sole neanche se te lo indico e pensi a te, pensi di aver fatto una figuraccia. Sei troppo nervosa. Non ti accorgi di quello che fai di come vivi. Forse non ti accorgi neanche che vivi. Non so neanche perché mi sono messo in testa di chiederti di farti compagnia. 


E comunque un po’ più in basso del sole a destra… effettivamente c’è l’orologio della stazione…

30.6.10

fino alla fine dei giorni

Treno.Stazione.Scena da film. Città.
Sono suola, vuota, mi sento persa. Se non sono con i miei bimbi, se non ho il compito di guidarli mi sento quasi inutile. Ma ho fatto una promessa, di essere ciò che per il momento non sono, di diventare meno restia ai cambiamenti, più propensa ad allungare le gambe agli ostacoli, e...meno crudele.
Già, perchè, per quanto mi sforzi a non reputarmi tale,agli occhi degli altri (e per altri intendo...tutti) non sono altro che una doppiogiochista, una finta perbenista, un'acqua cheta, con una fragilissima e ben congeniata maschera da fatina dolce. E' quasi un gioco perverso il mio, assecondare la cattiveria altrui, o meglio, la Sua cattiveria; il mio Dio, il mio altare, il mio letto, i miei lividi, la mia passione, la mia ossessione. Lui, e solo lui. Fino alla fine dei giorni. Così mi ha detto. Ed io ci credo.
La scusa della città funziona benissimo, ma infine è soltanto un pretesto per assecondare i suoi piani. Mi ha anche regalato un nuovo telefono cellulare per rimanere sempre in contatto con lui. E ad ogni secondo un fremito, come qundo mi tocca, come quando mi sospira, ogni secondo speso per lui, ad aspettare un suo segnale, finchè, finalmente, arriva : "Kendra, l'insetto è caduto nella trappola del ragno. A breve ti aggiorno". Adoro quando parla di insetti, perchè le altre sono solo quello per lui. Soltanto io sono la sua farfallina.
Soltanto con lui io sono Kendra.